Servizio di Assistenza Domiciliare, SAISH, troppo spesso le problematiche di organico delle cooperative soverchiano i bisogni degli utenti e delle loro famiglie.

 

Arianna, mia figlia, al Museo delle Illusioni 

Ero appena tornata a Roma dalle vacanze estive e mi arriva un messaggio tramite un canale social da una mamma #caregiver familiare come me. Maria (nome di fantasia), madre di un ragazzo con disabilità gravissima, si vorrebbe confrontare con me sull’assistenza domiciliare, usufruendo anche le mie due figlie con #autismo del servizio #SAISH (Servizio per l'autonomia e l'integrazione della persona disabile).

Qualche giorno dopo, Maria mi chiama e mi dice che in relazione al SAISH suo figlio è estremamente provato da una situazione insostenibile che perdura da oltre un anno.

Maria è una mamma premurosa, cosciente delle problematiche che la disabilità complessa di suo figlio comporta. Per questo, in fase iniziale, quando arriva un nuovo assistente domiciliare (capita spesso), dà alla cooperativa la disponibilità di affiancare personalmente il nuovo assistente, al fine di spiegare esattamente, anche in senso dimostrativo, in che modo suo figlio vada “maneggiato” per essere assistito correttamente.

Maria è ultra sessantenne, suo figlio è un adulto. Maria ha la schiena a pezzi. Eppure, Maria aiuta gli OSS (Operatori Socio Sanitari), qualifica richiesta per fare l’assistente domiciliare, e sistematicamente si sente dire da questi giovani che da soli non ce la fanno ad aiutare suo figlio Luca (nome di fantasia), che si potrebbero fare male alla schiena. Lo dicono a lei, invece di dirlo al loro responsabile del servizio in cooperativa, con il quale però forse si lamentano, perché quello che emerge dalle conversazioni tra i servizi e Maria sarebbe che lei sarebbe troppo pressante.

Maria ha parlato con i servizi sociali di tutto questo e la risposta che le sarebbe stata data è che due operatori non possono essere mandati, che non è previsto. Quindi, anche se ufficialmente non lo direbbero, il caregiver, in questo caso Maria con i suoi 67 anni, deve stare a disposizione durante le ore di assistenza domiciliare, anche se la sua necessaria presenza risulterebbe infine soffocante.

Maria è stanca e, dopo oltre trent’anni, anche esacerbata dal sistema. Maria non ha un carattere che le permetta di stare sempre zitta. Maria non è sottomessa. Maria disturba. Maria, Maria, Maria. 

La cooperativa sosterrebbe di avere mandato tanti operatori e che Maria avrebbe sempre da ridire, che non le starebbe bene niente e nessuno. Non faccio fatica a credere che ciò le sia stato detto. Anche io, soprattutto in relazione a mia figlia Arianna (nelle immagini di questo post, fotografata all’interno del divertente Museo delle Illusioni) oggi ventottenne con un autismo severo, ho vissuto di questi aggravi argomentati con frasi trite e ritrite, che a loro volta si sono sentite rispondere tante famiglie sotto schiaffo dei Servizi, che sembrerebbero essere, se non a loro volta sotto schiaffo delle cooperative,  quanto meno impotenti di fronte al problema enormemente complesso che è la copertura dei servizi di assistenza domiciliare in una città come Roma. Altrimenti, perché non intervenire in modo virtuoso mettendo al centro del servizio l’utente

E la realtà, che non fa neanche più notizia, è proprio questa: le problematiche delle cooperative, alcune di più e altre di meno con problemi di organico, soverchiano i bisogni degli utenti e delle famiglie. PRENDERE O LASCIARE.

Tutti noi genitori, almeno una volta, ci siamo sentiti rispondere dalle cooperative che è complicatissimo trovare il personale e che non si può obbligare quest’ultimo a effettuare un servizio che non gradisce, anche perché questi lavoratori non sarebbero formati adeguatamente. E almeno in questo siamo tutti d’accordo: è fuor di dubbio che la maggioranza del personale SAISH non è formato adeguatamente, ma neanche sostenuto come si dovrebbe aggiungo io.

E subito mi viene di porre una questione: chi è che si dovrebbe occupare della formazione del personale, visto che questa è la risposta/urgenza continuamente messa sul tavolo tra le tante argomentazioni e giustificazioni dei servizi sociali, a loro proprio dire in difficoltà estrema, quindi neanche in grado di ottemperare all’ascolto del personale?

Sulla formazione ci sarebbe molto da dire e magari scriverò un altro post per farlo. Sul fatto che i servizi sociali siano ridotti all’osso non si può che essere d’accordo, tuttavia, continuano a preoccuparmi di più le condizioni di vita delle persone con #disabilità e dei loro familiari, quest’ultimi troppo spesso costretti per amore a sostenere gli operatori, cercando di mantenere la giusta distanza per non essere tacciati di mania di controllo e per non togliere la scena ai propri cari assistiti. Di tutto ci dobbiamo preoccupare noi caregiver!

Di fatto, non esiste più una progettualità del servizio SAISH che venga messa in atto, pur avendo noi familiari, tutti, firmato un progetto, e rarissime sono le verifiche. Ciò è un male, anche per gli operatori ridotti in solitaria.

I problemi di organico di cui soffrono le cooperative - che pur sature di servizi continuano a partecipare a ogni sorta di bando e ad avere posizioni aperte presso i vari Municipi essendo inserite, si direbbe, in modalità perenne nelle liste di scelta come Enti accreditati - le costringono a volte a continuare ad avvalersi della collaborazione di dipendenti inadatti a un lavoro (non c'è niente di male a non essere portati per un dato lavoro) che consiste dell’assistere persone fragili senza loro proprie difese, ciò per coprire troppi servizi per i loro propri mezzi, negandosi così la possibilità di affrontare il loro proprio problema di fondo: il personale. Perché in ultima analisi il problema che sempre emerge, anche implicitamente, ad ogni segnalazione di noi famigerati incontentabili familiari, è relativo all’organico. Un circolo vizioso che qualcuno si dovrebbe prendere la responsabilità di provare a interrompere, ponendo almeno qualche regola in più che tenga conto del rapporto organico/monte ore servizi. 

E mi chiedo se a qualcuno dei servizi sociali, a torto o a ragione in modalità autoreferenziale-lamentazione, venga in mente che, forse, Maria alla sua età avrebbe bisogno di un aiuto che la sollevi da sforzi fisici. Di un aiuto vero, che includa il non dover sempre intervenire per aiutare l’assistente domiciliare. Una presenza richiesta implicitamente dalla disabilità di suo figlio, che però non basta a non subire continue defezioni senza conseguenze se non per la persona disabile: un turnover sfiancante del quale finire per essere incolpata lei, in quanto tacciata di essere “quella incontentabile”. A Roma si dice che oramai Maria c’ha la nomina. 

E chiedo inoltre ai servizi sociali e alle cooperative, se loro ritengano che questo sia il modo di far lavorare la gente. E altresì chiedo se secondo loro basti ai progetti SAISH, che ognuno di noi ha firmato individualmente, il mandare un operatore a copertura del servizio. 

La verità è che i servizi, così operando, ci lasciano a sbrigarcela tra di noi: operatori e familiari. A volte, ci si riesce, altre no. Quando le situazioni sono particolarmente difficili e sarebbe necessaria la mediazione dei servizi - intesa come supporto all’operatore e alla famiglia - accade che, così come nell’antichità i territori agli estremi degli Imperi non potevano essere raggiunti dalla Legge, i casi estremi non siano sempre raggiungibili dalle risorse a disposizione dei servizi in senso lato, se non in modalità copertura e sostituzione. E Luca, come dice Maria, è stanco.

Tanto è vero, Maria dice che oramai è tanto tempo che la cooperativa non riesce a mandarle un operatore fisso e che, nel corso di una ulteriore riunione per affrontare la questione, le sarebbe anche stato detto di cambiare cooperativa, visto che lei non si trova bene con l’attuale che non riuscirebbe a trovare per suo figlio un operatore che stia bene pure a lei. 

Ma il problema, cari servizi sociali, non è un carattere come quello di Maria, o peggio uno come il mio. Il problema è che molte cooperative hanno un annoso problema di organico che la pandemia ha drammaticamente portato alla luce e che, continuando a partecipare a nuovi bandi troppo spesso vincendoli e prendendo in carico nuovi utenti, poiché eternamente presenti nelle liste ricettive tra gli enti accreditati, queste prendono in carico nuovi servizi e, di fatto, per riuscire a coprire i servizi, almeno in parte, non possono rispettare i progetti firmati, mettendo in pratica, nelle condizioni in cui versano, l’unico criterio per loro applicabile: lavorare in modalità copertura sulla quantità e là dove il bisogno di aiuto è più estremo in modalità sostituzione, ove e onde possibile. Sono veramente pochi gli utenti e le famiglie seguiti in modo “tranquillo”.

In ultima analisi, il figlio di Maria, madre incontentabile che io invece definisco caregiver per amore ostaggio del sistema da tempo immemore, viene continuamente scaricato e così la sua famiglia, ciò al pari di tanti altri utenti e delle loro famiglie posti ai margini del nostro sistema non tarato per gli ultimi, poiché casi troppo estremi per essere assistiti.

Marina Morelli


Le foto di mia figlia Arianna, giovane donna con #autismo, sono state scattate al Museo delle Illusioni Roma 06 4542 9340

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