Dopo di Noi, legge di civiltà ma se rispetta l'identità della persona con disabilità psichica
"Tutti siamo utili e nessuno è indispensabile.", dice il detto. Ce n'è anche un altro, più ironico: “I cimiteri sono pieni di persone indispensabili.”.
Al di là dei luoghi comuni, sappiamo bene che il vuoto lasciato da una persona non può essere colmato. Ciascuno di noi è unico e irripetibile, perciò insostituibile. Così - per continuare a rispondere alla domanda che mi sono posta sin dall'inizio su COME realizzare un Dopo di Noi veramente dignitoso per la persona con grave o gravissima disabilità senza supporto familiare - mi sono detta che alla mia scomparsa la vita delle mie figlie con autismo andrà avanti e mi sono chiesta in cosa io sarò insostituibile per loro.
Immediatamente, mi sono risposta che io sono la persona che sa chi sono le mie figlie: conosco di loro pregi e difetti, gusti e preferenze, paure e desideri, so cosa fare per aiutarle nei momenti di crisi prima di allungare la mano su un farmaco - ultima ratio -, conosco la loro qualità. Ad esempio, io so che Chiara è gentile, intelligente, sensibile, furba, ma anche un po’ svampita e sfaticata - se può se la svigna -, che è una ladruncola di caramelle e dolciumi. E so che Arianna ha il senso del dovere, è emozionale e affettuosa, ama la famiglia, è una buona forchetta, che le piace divertirsi, pur affrontando tutto con un'ansia devastante che la rende ossessiva … e che sa essere molto prepotente.
Ci viene chiesto dai Servizi Sociali di avere maggiore fiducia, spesso noi familiari siamo tacciati di essere di ostacolo all'uscita di casa dei nostri figli, ma nella maggioranza dei casi I FAMILIARI HANNO RAGIONE e anche le rarissime eccezioni confermano la regola.
Per me, affidare al Sistema con maggior fiducia le mie figlie è assicurarmi che a Chiara e ad Arianna non venga portata via la loro identità, che non vengano considerate e trattate come due incapaci di intendere e di volere perché non lo sono, non a casa loro, dove essendo certe di essere capite e ascoltate sanno farsi valere. Io non voglio che l'identità di Chiara e di Arianna vada persa alla mia scomparsa o, peggio, perché varcando la porta di un appartamento entreranno nelle logiche di gestibilità di una casa famiglia. Perché le cose attualmente stanno proprio così.
I gruppi appartamento dei progetti Dopo di Noi sono gestiti, uso appositamente il verbo "gestire", con la vecchia concezione della casa famiglia e non secondo i principi ispiratori della Legge 112/16. Peggio del peggio, le famiglie non entrano in alcun modo in queste case nelle quali i propri figli si recano per fare esperienze di vita autonoma - non sono tanti i progetti giunti “all’uscita di casa” - dalle quali, per giunta, non trapela quasi mai nulla: essenzialmente la gestione è di tipo omertoso e anche le rare eccezioni confermano la regola. Così può addirittura capitare che nel caso in cui un genitore intervenga in modo più incisivo, l’ente che eroga il servizio interrompa su due piedi il progetto, e al diavolo la persona disabile, la quale, ignara, paga per tutti.
A volte, noi genitori vorremo spiegare, a chi si sta occupando del progetto Dopo di Noi dei nostri figli chi sono i nostri cari, ciò per averli cresciuti, sostenuti, educati, non ultimo messi al mondo. Invece, del loro carattere - della natura intima della persona - sembra non interessare e ciò, di fatto, ancora una volta, rende FEROCE la presa in carico della persona fragile. Chi vorrebbe uscire da casa propria per cominciare l'altisonante propria vita autonoma adulta passando da una situazione familiare di comfort e riti abituali, grazie alla quale ciascuno di noi nel quotidiano considererebbe la propria vita "intatta", per entrare in un posto dove si deve adattare tout court a una organizzazione a tal punto ridotta alle logiche di gestione da non potersi in alcun modo considerare CASA? Qualcuno potrebbe rispondere a questa mia domanda? E mi sorge un'altra domanda:
Che cosa farebbe bene al mio carattere, ossia alla mia identità, e a tutto ciò che io sono nel momento in cui dovessi arrivare in un gruppo appartamento senza essere autosufficiente? Che cosa sarebbe importante per il mio carattere, per ciò che io intimamente sono?
Temo che per rispondere onestamente a questa domanda mettendosi nei panni di una persona non autosufficiente ci si deve concentrare sulla qualità della vita e meno sulle prestazioni, sull'efficienza e sulla gestibilità.
Certo, la natura intima di una persona include anche la fisiologia oltre al carattere, ma noi nel cercare di dare strumenti alla Legge 112/16 detta Dopo di Noi, per renderla maggiormente accessibile alle persone aventi diritto, dobbiamo concentrarci non sulla biologia del disturbo mentale, ma sul significato del disturbo mentale, anche non negandone i sintomi, e, come avviene nella normalità delle cose dovremmo incontrare la persona, conoscersi, visto che l'obiettivo è una convivenza. Invece, prima dell'incontro, riunioni e schede valutative del funzionamento, diagnosi cliniche, situazione economica.
E mi chiedo:
Fermarsi a una diagnosi clinica e al farmaco che ne attenua il sintomo è la giusta base di una auspicata e auspicabile convivenza? Questo approccio sbrigativo e poco impegnativo sul piano della formazione e soprattutto umano è quel che ci serve per riuscire a gestire la complessità di un gruppo appartamento con le inevitabili dinamiche legate alla convivenza, non solo tra persone aventi diritto, ma soprattutto tra il personale e il personale e le persone aventi diritto?
E se il tirare in ballo le dinamiche, i comportamenti personali e la clinica degli aventi diritto, nonché i tentativi di ingerenza da parte dei familiari - i quali a loro dire non vorrebbero "mollare" -, tutto ciò, fosse un approccio autoreferenziale oltre che il linguaggio auto-ingannevole di un ambiente, quello dei Servizi, che non riesce ad affrontare i problemi interni agli enti pubblici e privati coinvolti nel Dopo di Noi?
E da parte degli enti accreditati, anche il mettere continuamente in primo piano le proprie problematiche organizzative e gestionali - problemi di organico, formazione, logistica, scarsa solidità economica - per parlare delle difficoltà a far decollare il Dopo di Noi, come se la persona avente diritto non avesse un'anima, un carattere, una sensibilità, una sua propria IDENTITA' e dignità, tutto questo, è normale? Ma lo chiediamo mai a una persona, anche con gravissima disabilità, cosa ne pensa di questo Dopo di Noi? Gli strumenti ci sono, solo che abbiamo scambiato ancora una volta l'ideale di una legge di civiltà perfettibile (come gli umani che l’hanno scritta) per il profitto.
Mi rendo conto che una delle difficoltà maggiori che si incontrano nella relazione con le persone con disabilità psichiche gravi è il fatto che queste spesso non ci corrispondono, che c’è un problema di comunicazione. Occorrono strumenti che favoriscano la relazione: sistemi valutativi ad approccio olistico, formazione e sostegno psicologico al personale, risorse esterne quali programmi che favoriscano la comunicazione, nonché la tecnologia, anche digitale. Ci sono gli strumenti, ma è necessario rimettere al centro la persona.
La legge 112/16 è in potenza una Legge di civiltà che come tutte le leggi che sanciscono diritti volti a favorire l'uguaglianza indica il periglioso cammino che sempre è la realizzazione di un mondo migliore. La realtà del mondo è la diversità e qualsiasi tentativo di realizzare l’uguaglianza COMPLICA LE COSE.
A volte, non è dato di comprendere l'origine di un male e, forse, non si tratta neanche di combatterlo. Piuttosto è necessario assumere un punto di vista e un modo di agire corretti. Gli enti che si occupano di Dopo di Noi devono assumere un punto di vista e un modo di agire correttissimi nei confronti delle persone aventi diritto, la cui dignità sta innanzitutto nel rispetto della loro identità - la persona con disabilità psichica non può essere snaturata al fine di uscire dalla casa di origine - e nella dovuta considerazione delle loro famiglie, che conoscono i loro cari.
Marina Morelli
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